IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letti  gli  atti del procedimento penale n. 512/89 a.r., n. 190/89
 reg. g.i.p.;
    Vista  la richiesta di archiviazione formulata dal p.m. in data 28
 novembre 1989, depositata presso questo ufficio in data  29  novembre
 1989:
                             O S S E R V A
    L'art.  554, secondo comma, del c.p.p. prevede per il procedimento
 pretorile,  in  caso  di  mancato  accoglimento  della  richiesta  di
 archiviazione, che il giudice debba restituire con ordinanza gli atti
 al  p.m.  disponendo  che   questi   formuli   entro   dieci   giorni
 l'imputazione;  questa e' l'unica possibilita' prevista, a differenza
 di quanto disciplinato in  via  generale  dall'art.  409,  secondo  e
 quarto   comma,  del  c.p.p.,  in  base  al  quale  il  giudice,  nel
 disattendere la  richiesta  di  archiviazione,  puo',  ove  riscontri
 lacune  investigative,  indicare  al  p.m.  le  necessarie  ulteriori
 indagini, fissando anche il termine  per  il  loro  compimento;  tale
 norma,  evidentemente,  in  assenza del disposto di cui all'art. 554,
 secondo  comma,  del  c.p.p.  sarebbe  stata  applicabile  anche   al
 procedimento pretorile ex artm 549 del c.p.p.
    Dal confronto delle due diverse normative, sembra a questo giudice
 che la disciplina di cui all'art.  554,  secondo  comma,  del  c.p.p.
 possa   porsi   in   contrasto  con  l'art.  3,  primo  comma,  della
 Costituzione.
    Inoltre,  tenendo  a  mente che la richiesta di archiviazione puo'
 essere proposta, ex  art.  125  att.  del  c.p.p.,  quando  "...  gli
 elementi  acquisiti  nelle  indagini  preliminari  non  sono idonei a
 sostenere l'accusa in giudizio",  sembra,  ancora,  che  il  disposto
 dell'art.  554,  secondo  comma,  del  c.p.p.,  nel non consentire un
 efficace controllo sull'attivita' di indagine svolta,  possa  elidere
 il principio di cui all'art. 112 della Costituzione.
    I  canoni di "coerenza dell'ordinamento giuridico", di "necessarie
 razionalita' che deve informare le convergenze  o  le  divergenze  di
 trattamento    normativo",    il    "divieto    di    discriminazioni
 irragionevoli", principi  tutti  cristallizzati  nell'art.  3,  primo
 comma,   della  Costituzione  (si  confronti,  tra  le  molte,  Corte
 costituzionale 29 maggio 1960, n. 15; 16 gennaio 1975, n. 3; 20 marzo
 1978,  n.  20;  25  giugno 1980, n. 96; 30 novembre 1982, n. 204...),
 sembrano esser violati dalla normativa di cui all'art.  554,  secondo
 comma,  del  c.p.p.:  il sistema da questa norma delineato e' infatti
 tale che si puo' pervenire a richieste di archiviazione  anche  sulla
 base  di  indagini  lacunose,  incomplete,  o,  addirittura, assenti,
 potendo la richiesta fondarsi sul mero giudizio prognostico  ex  art.
 125 att. del c.p.p.; e fronte a cio' al giudice non e' lasciata altra
 alternativa, ove ritenga di non emettere  decreto  di  archiviazione,
 che di ordinare al p.m. di formulare entro dieci giorni l'imputazione
 ai fini dell'emissione del decreto di citazione a giudizio: si  tenga
 presente la ristrettezza di tale termine, la sua "impermeabilita'" al
 concreto atteggiarsi  della  situazione  probatoria  sottostante,  la
 effettiva   possibilita'  che,  per  l'insufficienza  degli  elementi
 raccolti,  si  addivenga  ad  un'imputazione   monca   o,   comunque,
 incompleta;   si   pensi,   ancora,   all'esito  che  puo'  avere  un
 dibattimento, o un eventuale procedimento alternativo, se  mancano  o
 non sono esaurienti le fonti di prova raccolte ( ex art. 530, secondo
 comma, del c.p.p. "Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche
 quando manca, e' insufficiente o e' contraddittoria la prova...").
    Di  fronte  a tale situazione, alla ben diversa normativa prevista
 in via generale dall'art. 409, secondo e quarto comma, del c.p.p., il
 ritenere  giustificato e ragionevole il disposto di cui all'art. 554,
 secondo comma, del c.p.p. considerando che "la maggior snellezza  del
 procedimento  pretorile  ha consigliato di lasciare il p.m. libero di
 autodeterminarsi senza essere vincolato dalle indicazioni del giudice
 in  ordine  alle  ulteriori indagini da compiere" (cosi' la relazione
 ministeriale), pare basarsi sull'assunto apodittico secondo il  quale
 per  i  reati  di  competenza  pretorile le indagini sono scarsamente
 complesse e, comunque, sempre necessariamente esaustive.
    E' quasi superfluo ricordare che sono di competenza del pretore le
 materie  riguardanti  l'igiene  e  la  sicurezza  del   lavoro,   gli
 infortuni,  anche mortali, conseguenti, l'inquinamento, l'assetto del
 territorio, la disciplina degli alimenti, e, in  genere,  gran  parte
 delle   fattispecie   poste  a  tutela  del  diritto  alla  salute  e
 all'ambiente salubre.
    Non  puo'  non  sottolinearsi  come  le indagini in tali ambiti si
 presentino "di regola" complesse e articolate.
    E non puo' non affermarsi come, in conseguenza del disposto di cui
 all'art. 554, seconco domma del c.p.p., beni giuridici individuali  e
 collettivi  di fondamentale e primaria importanza (e per i quali pare
 davvero inutile citare le norme costituzionali di garanzia) soffrono,
 rispetto  ai  beni  giuridici la cui aggressione e' di competenza del
 tribunale o della corte d'assise, di  una  significativa  e,  sembra,
 difficilmente giustificabile differenza di trattamento che si traduce
 in una rilevante carenza di protezione.
    Ne',  pare,  si  possa  fondatamente  ritenere che approfondimenti
 d'indagine possano essere  recuparati  in  sede  dibattimentale:  pur
 prescindendo  dal fatto che una tale argomentazione lascia inalterata
 la plasticita' della differenza di trattamento normativo tra reati di
 conpetenza  pretorile  e gli altri, va appena detto come, sovente, le
 indagini per essere fruttuose  debbano  essere  "tempestive".  (E  lo
 stesso meccanismo dell'avvocazione sembra, sotto il profilo cui si e'
 fin'ora accennato,  insoddisfacente:  l'art.  158  att.  del  c.p.p.,
 infatti,  dettando  una disciplina speciale per i reati di competenza
 pretorile, stabilisce anche per il p.g.  termini  ristrettissimi  sia
 per    l'esercizio    dell'avocazione   che   per   la   formulazione
 dell'imputazione).
    Ne',  ancora,  sembra che il disposto di cui all'art. 554, secondo
 comma, del c.p.p. soddisfi realmente le esigenze  di  semplificazione
 che  informano  il  rito  innanzi al pretore: fermo restando che tali
 esigenze non dovrebbero comunque prevalere su quella di  offrire  una
 tutela  adeguata  ai beni giuridici penalmente protetti, va' peraltro
 notata come, secondo l'art. 554, secondo comma, del c.p.p., a  fronte
 di  una richesta di archiviazione contrassegnata da assenza o carenza
 di indagini, ove il giudice ritenza di non accoglierla,  deve  essere
 innescato il meccanismo del decreto di citazione a giudizio piuttosto
 che, piu' semplicemente, come previsto dall'art.  409  c.p.p.,  darsi
 luogo all'indicazione di nuove indagini, il cui espletamento potrebbe
 anche preludere ad una archiviazione.
    Insomma: la impossibilita', prevista dall'art. 554, secondo comma,
 del c.p.p. per i soli reati di competenza del pretore, di imporre  al
 p.m.   che  abbia  proposto  richiesta  di  archiviazione,  nuove  ed
 ulteriori indagini risultando carenti o incomplete quelle  svolte,  e
 la  sola  alternativa  offerta: o archiviazione o ordine di formulare
 l'imputazione entro dieci giorni ai fini della emissione del  decreto
 di citazione, sembrano tradursi in una ingiustificata discriminazione
 rispetto al regime normativo previsto dall'art. 409, secondo e quarto
 comma, del c.p.p., discriminazione che ovviamente riverbera sia sugli
 indagati/imputati, sia sulle parti offese, sia, in generale, sui beni
 protetti dalle fattispecie penali.
    Considerando  che  l'archiviazione  puo' essere richiesta dal p.m.
 anche quando "... gli elementi acquisiti nelle  indagini  preliminari
 non  sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio" (art. 125 att. del
 c.p.p.),  sembra  evidente  che  il  rispetto  del  principio   della
 obbligatorieta'  dell'azione  penale  - art. 112 della Costituzione -
 imponga l'effettivo svolgimento di tutte le  opportune  e  necessarie
 indagini  prima di poter proporre richiesta di archiviazione; e prima
 che la stessa possa essere accolta. E sembra ancora evidente come  il
 rispetto  di  tale  fondamentale  principio  costituzionale  esiga la
 presenza di un penetrante strumento di controllo  volto  a  garantire
 che  la  richiesta  formulata  ex  art. 125 att. del c.p.p. sia stata
 preceduta, sia supportata, da un adeguato svolgimento di indagini.
    L'obbligo  sancito dall'art. 112 della Costituzione mira infatti a
 garantire la possibilita' di controllare ed eventualmente contrastare
 l'inerzia   del   p.m.:  considerando  il  margine  "fisiologico"  di
 discrezionalita' insito nell'esercizio dell'azione penale e  nel  suo
 concreto   atteggiarsi,   il   problema   della   effettivita'  della
 obbligatorieta' dell'azione penale pare incentrarsi sulla adeguatezza
 dei  controlli  volti  a  impedire  che l'art. 112 della Costituzione
 rimanga sostanzialmente svuotato del suo significato di  garanzia  di
 legalita'  ed uguaglianza per i destinatari della legge penale: ed e'
 la disciplina del controllo giurisdizionale sulla  archiviazione  che
 va  a  svolgere  dunque,  in  tale ambito, una funzione essenziale ed
 ineludibile  di  presidio  al  rispetto   sostanziale   della   norma
 costituzionale.
    Ora:  lo  strumento  di controllo sulla richiesta di archiviazione
 offerto, per il procedimento pretorile, dall'art. 554, secondo comma,
 del  c.p.p.,  appare  del  tutto  inadeguato:  tale  sistema consente
 infatti che, ove di fronte ad una notizia di reato siano state svolte
 indagini carenti, possa esser formulata, sulla base di tali indagini,
 richiesta di archiviazione ex art. 125 att. del c.p.p.; che  rispetto
 a   tale  richiesta  il  giudice  non  possa  valutare  il  grado  di
 completezza delle  indagini  svolte,  ma  soltanto  o  accoglierla  o
 imporre  la  formulazione entro dieci giorni dell'imputazione ai fini
 dell'emissione del decreto di citazione a giudizio; imputazione  che,
 dovendo   esser   formulata  prescindendo  dalle  esaustivita'  degli
 elementi probatori raccolti potra' ben configurarsi  come  sfocata  e
 sterile;  giudizio  che,  evidentemente,  non  potra'  che  svolgersi
 attingendo alle fonti di prova raccolte, pur incomplete che siano,  e
 con  un esito quindi compromesso o, comunque, considerato da una tale
 situazione.
    Tutto  cio'  pare  concretare  una  violazione dell'art. 112 della
 Costituzione  in  quanto,  la  si  vuol  ripetere,  e'   proprio   la
 possibilita'  di  chiedere  archiviazione  basantesi su un gidizio di
 idoneita' degli elementi acquisiti  nelle  indagini  al  sostenimento
 dell'accusa  in giudizio, a scolpire l'elusione e la violazione della
 norma costituzionale ove non vi sia un  efficace  controllo  volto  a
 garantire  il  previo  svolgimento  di indagini esaustive. (E anche a
 tale riguardo non sembra che la costituzionalita' della  norma  possa
 essere recuperata attraverso il meccanismo dell'avocazione, dato che,
 come si e' detto innanzi, anche  in  questo  caso  vi  e'  una  norma
 specifica,  art. 158 att. del c.p.p., che ripropone anche per il p.g.
 termini ristrettissimi per la formulazione dell'imputazione).
    La  rilevanza  della  questione  di costituzionalita' proposta nel
 presente giudizio pare evidente: questo giudice e' infatti chiamato a
 dare  applicazione  proprio all'art. 554, secondo comma del c.p.p. in
 conseguenza di richiesta di archiviazione avanzata ex art.  125  att.
 del  c.p.p.  Orbene,  in concreto, dagli atti del procedimento emerge
 tra l'altro, sia detto  per  estrema  sintesi,  la  non  completa  ed
 inidonea  opera  di  scoibentazione  di  alcuni  rotabili,  cosicche'
 residui di amianto blu e bianco sono stati rinvenuti nei vagoni,  nei
 particolari  di  essi, ed in vari luoghi dello stabilimento, comprese
 aree esterne ai capannoni ove avviene al  scoibentazione,  ed  al  di
 fuori della recinsione delle aree di stoccaggio.
    I  tecnici della U.S.L. paventano espressamente, in data 20 giugno
 1989 - come risulta dagli atti - la possibile presenza  di  fibre  di
 amianto  aerodisperse in zone confinanti col capannone ove avviene la
 scoibentazione, e quindi il concreto pericolo di esposizione  a  tali
 fibre  per la persona addetta od altre lavorazioni in ambiti contigui
 non protetti.
    Ritiene  questo  giudice che una tale situazione, appena delineata
 in questa  sede,  non  permetta  l'accoglimento  della  richiesta  di
 archiviazione,  ma  imponga,  piuttosto,  l'espletamento di ulteriori
 indagini  (campionamenti  e  analisi   dell'aria,   verifiche   sulle
 modalita'  di  scoibentazione  e  su quelle di stoccaggio dei residui
 d'amianto ecc.) volte a focalizzare responsabilita' penali in  ordine
 a  violazioni  in  materia  di  igiene  del lavoro, e/o in materia di
 smaltimento di rifiuti tossici e nocivi.
    E  mentre  l'art.  409  del  c.p.p. prevede la possibilita' che il
 giudice ravvisi la necessita'  di  ulteriori  indagini,  l'art.  544,
 secondo comma, del c.p.p. prescinde da tale eventualita': nel caso di
 specie l'applicazione di tale ultima norma condurrebbe ad ordinare al
 p.m.  la  formulazione entro 10 giorni di un'imputazione basantesi su
 indagini  che  si  giudicano  incomplete,   un'imputazione,   quindi,
 incompleta  essa  stessa,  e  prologo  ad  un  insoddisfacente  esito
 procedimentale.